giovedì 31 luglio 2025

La Cucina Italiana a Patrimonio Culturale Immateriale dell'Umanità

               

Il mondo dell'enogastronomia orami è diventato variegato, diviso tra chi si ispira a cuochi della scuola italiana e chi insegue  culture diverse e a volte contrapposte Nel mondo però si mangia rigorosamente italiano, di quella scuola italiana ricercatissima. Taluni pur lavorando in Italia, si ispirano a chef tedeschi, irlandesi, inglesi, spagnoli e/o francesi, più per una crisi di identità,  che di una convinzione professionale  

Questa  è un iniziativa rivolta a coloro i quali a vario titolo si occupano di enogastronomia,   a tutti quelli che attraverso il loro attività  valorizzano il patrimonio agroalimentare ed enogastronomico made in Italy, in Italia e nel mondo,   che si dedichino (o si siano dedicati) professionalmente ad attività connesse con la cucina italiana,  anche sotto l'aspetto culturale, sociale  e politico.


La  Rete Nazionale dei Borghi GeniusLoci De.Co., IDIMED  e altri,  sostengono  la Candidatura della Cucina Italiana a Patrimonio Immateriale dell'Umanità promossa dal Governo,  insieme quanti sono impegnati e dedicati alla divulgazione culturale, all’educazione alimentare, alla formazione e alla promozione del territorio, in Italia e all’estero. Con un obiettivo chiaro: tutelare e valorizzare la cultura alimentare e i prodotti agroalimentari di qualità, ponendo particolare attenzione al patrimonio identitario delle produzioni agroalimentari  

PARTECIPA


Un accordo di partnership con  quanti vogliono promuovere questo percorso per la candidatura della cucina italiana a patrimonio culturale immateriale dell’umanità Unesco attraverso la cultura alimentare



Un’intesa che punta, attraverso iniziative condivise, a sostenere la candidatura della cucina italiana a patrimonio culturale immateriale dell’umanità   rafforzando così il legame tra cultura, territorio, qualità,   sottolinea come la cucina italiana sia un elemento identitario, un mosaico di tradizioni regionali e un esempio di sostenibilità e biodiversità. La cucina italiana, infatti, non è solo cibo, ma anche pratiche, gestualità e rituali legati al momento del pasto, che contribuiscono a definire l'identità culturale del paese. 

La condivisione del percorso di valorizzazione della straordinaria varietà di saperi e sapori che caratterizzano la nostra cultura gastronomica e che ne definiscono l’identità,   a sostegno del riconoscimento della cucina italiana quale patrimonio immateriale dell’umanità.

  La candidatura mira a riconoscere il valore della cucina italiana non solo come insieme di ricette, ma anche come pratica sociale, momento di condivisione e patrimonio di tradizioni tramandate di generazione in generazione.  

 La condivisione del percorso di valorizzazione della straordinaria varietà di saperi e sapori che caratterizzano la nostra cultura gastronomica e che ne definiscono l’identità,   a sostegno del riconoscimento della cucina italiana quale patrimonio immateriale dell’umanità.

 

Promuovere la cultura del cibo significa valorizzare la nostra storia, le tradizioni e l’economia locale. I nostri prodotti  dell’elaioenogastronomia sono un patrimonio straordinario, frutto del lavoro delle comunità e delle imprese agroalimentari e degli artigiani del gusto,  che rappresentano un valore non solo economico, ma anche sociale e culturale.

 Il logo della candidatura della “cucina italiana” a patrimonio dell’Unesco,  una mano che spadella cose, fra cui classici ingredienti della cucina italiana e alcuni monumenti celebri nostrani.

Un logo dal design semplice, con la mano di uno chef che spadella sul fuoco un mix di ingredienti della cucina italiana (fra cui figurano il vino, l’olio di oliva, la pizza, il pesce e la pasta) e diversi monumenti italiani (fra cui notiamo la Mole Antonelliana, i Templi di Agrigento, la Torre di Pisa, il Colosseo e diversi altri), il tutto su sfondo azzurro e corredato di scritta “Io amo la cucina italiana candidata a patrimonio Unesco”.

Il logo vuole riportare alla mente l’atto di cucinare come   un rito e un patrimonio alimentare/culturale. Il logo è stato realizzato dagli allievi della Scuola della medaglia dell’Istituto poligrafico e zecca dello Stato.

Ricordiamo che la candidatura della cucina italiana come patrimonio dell’Unesco è stata lanciata  nel 2023   dopo essere stata anche promossa dall’Accademia italiana della Cucina, dalla fondazione Casa Artusi  

 L'obiettivo è di valorizzare  i prodotti  identitari e dell'arte culinaria   dell’  ElaioEnoGastronomia    Quando il cibo viene ancorato in maniera identitaria ad un territorio, smette di essere un momento culinario e diventa esperienza totale. In questo modo coinvolge immediatamente i quatto sensi, vedere, annusare, gustare e toccare; ma quando un cibo è veramente ancorato ad un territorio tocca anche l’udito, perché si racconta e racconta il territorio. Quando arriva nel piatto, quel cibo ti ha detto tante cose e quando lo assapori diventa esperienza avvolgente, coinvolgente e identitaria di quel luogo. Il termine genius loci, di origine latina, definisce letteralmente il “genio”, lo spirito, l’anima di un luogo è caratterizza l’insieme delle peculiarità sociali, culturali, architettoniche, ambientali e identitarie di una popolazione e l’evoluzione di quest’ultima nel corso della storia. 


"In molti sostengono che la cucina italiana non esiste perché è una somma di cucine regionali. altri che esiste eccome, e non è una somma, ma una moltiplicazione di saperi che si incontrano, si contaminano e si trasformano”.

La cucina italiana esiste, è un patrimonio di valori, di passione, di gesti, di saperi e di creatività, e non di ricette specifiche o di materie prime, per sua natura mutevole, aperto alle contaminazioni e inclusivo, già amato e condiviso dall’umanità. Il riconoscimento a Patrimonio Immateriale Unesco, che potrebbe arrivare nel 2025, sarebbe importante, e sarebbe un’operazione culturale, di affermazione e di orgoglio della cucina italiana d’Italia e del mondo, ben prima e molto di più di un’operazione commerciale, con effetti positivi diretti ed indiretti potenzialmente enormi. Un obiettivo che è alla portata, a patto che enti culturali, istituzioni e chef facciano sistema davvero, e non a parole, guardando al riconoscimento Unesco non tanto come un traguardo, quanto come un nuovo punto di partenza, e come ad uno stimolo per scrollarsi di dosso quel “modus pensandi” tutto italiano, di paragonarsi alla Spagna nella cucina come alla Francia nel vino, quando invece il Belpaese è ricco di identità, unicità e qualità eccellenti amate nel mondo.




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 VI INVITIAMO A COMPILARE IL MODULO   e CONDIVIDERLO CON I VOSTRI AMICI


ADESIONE

 




 

MODULO DI CANDIDATURA

PER L’ISCRIZIONE NELL’INVENTARIO NAZIONALE DEL PATRIMONIO

AGROALIMENTARE ITALIANO

A.                Comunità proponente

 

La presente richiesta di inventariazione è presentata dalle seguenti comunità:

·         Casa Artusi – Fondata nel 2007 con l’obiettivo di promuovere il sapere e il saper-fare artusiano e dunque la cucina di casa italiana con manifestazioni culturali, eventi, conferenze e con la Scuola di cucina Casa Artusi dedicata alla cucina domestica e aperta a curiosi, appassionati, amatoriali e professionisti, a tutti coloro che vogliono vivere un’autentica esperienza pratica di cucina seguiti dai maestri di Casa Artusi e dall’Associazione Mariette per quanto riguarda l’arte della sfoglia e della piadina romagnola fatta a mano.

·         Accademia italiana della Cucina Fondata nel 1953 da Orio Vergari, è un'associazione culturale il cui scopo è quello di salvaguardare, insieme alle tradizioni della cucina italiana, la cultura della civiltà della tavola, espressione viva e attiva dell'intero Paese Italia. Riconosciuta quale Istituzione culturale della Repubblica dal Ministero della Cultura, l’Accademia ha il fine di tutelare la tradizione gastronomica italiana e di promuoverne e favorirne il miglioramento in Italia e all'estero, attraverso varie iniziative, studi e divulgazioni tra cui un centro studi, attività editoriali, degustazioni. L’accademia conta 224 Legazioni in Italia e 68 Delegazioni e 20 Legazioni all'estero con più di 7.500 associati chiamati "Accademici".

·         La Cucina Italiana – Rivista fondata nel 1929 dalla coppia di coniugi Umberto Notari e Delia Pavoni, la Cucina Italiana è divenuta negli anni lo spazio culturale in cui la pratica della cucina di casa ha trovato dimensione e risonanza, consentendo di unirla a quella dei grandi chef. Descrivendo le storie delle famiglie italiana in cucina, da quelle più blasonate a quelle meno note, la rivista assolve al fondamentale ruolo di collante tra generazioni e territori, consentendo alla pratica di esprimersi e di farsi conoscere, salvaguardandone, così, gli elementi tradizionali pur in una logica di scambi, integrazioni, dialoghi con altre culture.



B.                Nome dell’elemento

Nome principale: La cucina di casa italiana tra rituali e pratiche sociali Nome alternativo: La cucina italiana tra sostenibilità e biodiversità culturale

Nome in inglese: The Italian cooking between sustainability and biocultural diversity

 

C.                Sintesi dell’elemento

La cucina italiana è un insieme di pratiche sociali fatta di riti e gestualità, basate sul concepire il cibo come elemento identitario e il momento della preparazione del pasto come occasione di condivisione. In Italia cucinare è un modo di prendersi cura della felicità della famiglia e degli amici (quando si cucina in casa) o degli avventori (quando si cucina al ristorante), è il frutto di un continuo gioco di prestiti, interferenze, connessioni, scambi che dalla tavola delle famiglie italiane arriva al ristorante e viceversa. La cucina italiana è un mosaico dei tanti saperi


locali, territoriali, che, senza gerarchie, la declinano e la connotano. E’ una pratica che fa stare bene, che serve a migliorare la qualità della vita. La pratica del cucinare è una manifestazione di creatività basata sul non sprecare nulla, sul riutilizzo del cibo avanzato: fare col poco, con quel che c’è, cercando di non gettare nulla ma di riutilizzare gli avanzi per creare nuovi piatti ricchi di gusto (le polpette, la ribollita, la frittata di pasta del giorno prima, per citarne alcuni). La pratica del cucinare è una forma di tutela della biodiversità perché basata sul rispetto della stagionalità e della filiera corta di prossimità. La pratica del cucinare è un momento collettivo nelle famiglie italiane, in cui ciascun componente assume un suo ruolo, fin dal momento in cui si sceglie cosa mangiare a colazione, a pranzo, a cena.



1.      Identificazione e definizione dell’elemento

La cucina italiana è un insieme di pratiche sociali fatta di riti e gestualità, basate sul concepire il cibo come elemento identitario e il momento della preparazione del pasto come occasione di condivisione. Il cucinare è una forma di viaggio dove i mezzi di trasporto sono rappresentanti dagli ingredienti che ti portano, con il tuo umore, la tua sensorialità e la sensibilità del momento, in luoghi nuovi ogni volta, anche quando il piatto è lo stesso o la ricetta è la stessa. Il cucinare consente di ricreare continue emozioni e sensazioni e di condividerle con gli altri; per questo gli italiani cucinano così tanto, per regalare “momenti”, viaggi attraverso luoghi sensoriali sempre nuovi. La scelta di cosa mangiare è essa stessa spesso una occasione di dibattito in famiglia e tra gli amici ed una volta compiuta ognuno ha un suo ruolo: chi sceglie gli ingredienti nel rispetto della stagionalità e della biodiversità, chi li deve poi preparare e cucinare, chi apparecchia la tavola, chi commenta, chi guarda, chi impara. Il cucinare insieme diventa così una festa, un rito immancabile, specialmente nei giorni festivi quando tale pratica assume colori, gesti e profumi che fanno sentire bambini anche i grandi. Questo continuo discutere insieme del cibo, anche mentre si mangia, mentre si è seduti a tavola, porta a rinnovare costantemente le “ricette” tramandate di generazione in generazione e a costruire nuovi percorsi di preparazione.

Si cucina per festeggiare anche quando non c’è nulla da festeggiare. Per festeggiare si cucina ma prima ancora si decide insieme cosa cucinare, quali ingredienti comprare, dove comprarli. Si pensi ai piatti delle feste: dai tortellini alle lasagne della domenica, il modo di prepararle è una occasione di dibattito in famiglia e tra le famiglie, in cui emergono le diversità territoriali ma anche locali (tra paese e paese) e in cui ogni territorio cerca di valorizzare i prodotti locali e stagionali, nel rispetto della biodiversità agraria.

La cucina di casa italiana è quindi una pratica comunitaria, condivisa, transgenerazionale.

La capacità di trasformare i prodotti semplici della terra e farli diventare buon cibo è il vero patrimonio sociale che si è sedimentato nella cultura alimentare italiana, spesso trasmesso per via orale nell’ambito familiare, sintesi della capacità soprattutto femminile di combinare gli ingredienti forniti prioritariamente dall’agricoltura e dall’allevamento di animali da cortile.

Tale pratica è trasmessa di generazione in generazione sia in forma orale che in forma scritta, sia in modo formale e ufficiale che in modo informale.

La pratica della cucina italiana e la passione del cucinare si impara a casa prima di tutto, in famiglia, crescendo intorno ai fornelli. La casa è il infatti il luogo privilegiato per la trasmissione delle conoscenze.

Ugualmente sono importanti le osterie, le trattorie, i ristoranti, dove ci si riunisce anche per vedere come si cucina, per imparare e poi provare a ricrearlo a casa, per mangiare e per discutere di cosa si mangia e programmare insieme cosa mangiare alla sera.

Alcuni aspetti di tale pratica, come la scelta degli ingredienti o le modalità classiche di preparazione, si possono trasmettere in modo formale. In ciascuna regione vi sono scuole di cucina di alta specializzazione, pubbliche e private, e gli istituti alberghieri ovvero scuole superiore dove si insegna non solo a cucinare ma anche ad apparecchiare, a spiegare la


dimensione culturale dei prodotti alimentari e la storia e l’identità che si nasconde dietro di essi.

Ci sono poi numerosi altri luoghi dove tale pratica si tramanda come la Fondazione Artusi che organizza continuamente corsi e che, grazie all’Associazione delle Mariette, è impegnata a divulgare le conoscenze culturali connesse alla cucina italiana di casa.

Ugualmente tale pratica può essere compresa ed imparata durante le numerose “sagre” e feste di paese dedicate ad alcuni cibi tradizionali: qui diversi cuochi, principalmente non professionisti, ricreano le ricette tradizionali in un turbinio di musica, gestualità, richiami usando i dialetti tipici.

La trasmissione avviene anche in forma scritta: si pensi ai ricettari delle nonne, ai quaderni tramandanti di generazione in generazione ma anche ai più moderni blog di cucina che consentono a chiunque di apprendere i mille modi di preparare una stessa pietanza.

Oggi non esistono ruoli specifici nell’esercizio di tale pratica perché l’elemento è diffuso in tutta la popolazione, a prescindere dal ceto sociale, dall’età, l’etnia, la religione. In passato, però, la cucina domestica era il luogo per eccellenza delle donne (le mamme, le nonne), il laboratorio dove si sono originati i grandi classici della cucina italiana, mentre la cucina “stellata” (quella dei grandi chef) era un luogo prevalentemente maschile dove avveniva (e avviene) la rivisitazione della tradizione casalinga. Oggi uomini e donne giocano lo stesso ruolo ed è sempre più diffuso tra gli uomini il piacere di cucinare e trovare grandi chef di sesso femminile. Inoltre, mentre in passato erano soprattutto le persone più anziane a trascorrere la loro vita intorno ai fornelli, ora tale pratica è esercitata da tutti, a prescindere dall’età.




2.      Valore sociale e culturale dell’elemento

La pratica del cucinare assume ad una plularità di funzioni, sociali, culturali economiche.

La Lingua italiana declina queste funzioni e, al tempo stesso, conferma la centralità del cibo nella cultura nazionale: “guadagnarsi il pane” per dire “lavorare per vivere”. “mangiare pane a tradimento” ovvero “essere buono come il pane” (dialettale “bon come el pan che se magna”), “rendere pan per focaccia” (già nel Decameron di Boccaccio XIII sec– equivalente all’inglese “tit for tat” e al francese “randre la pareille”), “non tutte le ciambelle riescono col buco” che significa che non tutto riesce sempre bene, “tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui” (Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso). Sono tutte espressioni comuni nella lingua italiana che riportano alla cucina italiana, al mangiare, a dimostrazione di come la cucina sia utilizzata quale metafora della vita quotidiana.

Gli italiani “parlano sempre di cibo” perché attraverso il cibo leggono, rappresentano e raccontano la realtà. Quando si mangia, in Italia si parla di cibo, di cosa si mangerà il giorno dopo. Parole italiane legate al cibo usate in tutto il mondo senza traduzione a conferma della centralità del cibo nella lingua e nella cultura italiana. E’ talmente centrale il cibo nella lingua e nella cultura italiana, che nel mondo alcuni cibi italiani non sono tradotti: “maccheroni”, “pasta”, “spaghetti”, “ciabatta”, “panini”, “espresso”, “cappuccino”.

La cucina di casa italiana svolge una importante funzione sociale di condivisione dovuta al piacere dello stare insieme e una funzione di legame tra le generazioni. Nonostante il cambiamento dei ritmi di vita, anche per i giovani permane il piacere di condividere gusti e tradizioni assorbite in famiglia e di proseguire in questa pratica.

Fino a qualche anno fa, quando una donna si sposava, la suocera regalava un libro di ricette, il proprio, quello della propria famiglia, o l’Artusi, il primo fondamentale “ricettario” che ha saputo dare la dimensione culturale di questa pratica. Oggi sono le neo mogli a regalare tali libri ai giovani mariti in modo che anche loro imparino a rendere felice la compagna in cucina. La pratica della cucina di casa italiana svolge quindi una funzione sociale molto rilevante perché, annullando ogni differenza (sociale, economica, religiosa, di genere, ecc.) genera felicità per tutta la famiglia intensa in senso molto ampio e tale da ricomprendere amici e avventori occasionali.


Il cibo, il mangiare, la pratica del cucinare e del parlare di cibo è diffusa da sempre tra gli italiani. Bastino citare due fatti. Nel 1860, quando l’Italia non esisteva ed era divisa in più Stati, il presidente del Consiglio Cavour, per spiegare al suo ambasciatore in Francia a che punto fosse la guerra per l’unità d’Italia, scriveva “Le arance sono già sulla nostra tavola e stiamo per mangiarle. Per i maccheroni bisogna aspettare, perché non sono ancora cotti”, richiamando arance e maccheroni in quanto tipici prodotti del Sud d’Italia che ancora non era unito al Nord. Così, durante la prima guerra mondiale, i soldati italiani prigionieri in Germania (ad Hannover tra il 1917 e il 1918), per non perdere mai il ricordo della propria origine, decisero di scrivere un libro di ricette o meglio di ricordi di ricette delle proprie famiglie, di “rimpianti e desideri” legati al cibo (“Arte culinaria”, Giuseppe Chioni).

Tale pratica, quindi, produce un chiaro senso di appartenenza alle proprie origini: si pensi agli italiani che vivono all’estero e che hanno riprodotto le ricette di casa italiana aggiornandole ai gusti dei paesi in cui vivono, in segno di rispetto dei territori che li hanno accolti.

Ma si pensi anche ad espressioni come “Italiani mangia spaghetti” usata per identificare, nel mondo, in modo spregiativo, gli italiani, a conferma di quanto anche nel mondo vi sia questa connessione tra il cibo, la pasta e la nazionalità.

Tale pratica svolge poi una funzione “ambientale”: biodiversità, ritmi delle stagioni, impatto ambientale ridotto perché kilometro zero, orti sottocasa per la propria cucina (inizialmente per necessità – povertà – ora con la consapevolezza che cosi si aiuta il pianeta).

Dunque tale pratica migliorare la qualità della vita: dare felicità attraverso il cucinare insieme e il mangiare e non solo soddisfare un bisogno fisico.

3.                  Stato di vitalità dell’elemento ed eventuali pericoli

La pratica del cucinare è diffusa in tutto il paese e ha sempre avuto un ruolo centrale nella storia del nostro paese.

I primi ricettari italiani appaiono nel XIV secolo, tutti anonimi fino a quello di Maestro Martino, il cuoco più celebrato del Quattrocento. Segue la grande stagione della cucina rinascimentale, con i capolavori di Cristoforo Messisbugo (1549) e di Bartolomeo Scappi (1570), che interpretano una cultura inter-cittadina, inter-regionale, fin da allora fatta di scambi e interazioni (di prodotti e di ricette) che creano nel paese una “rete” condivisa di cultura gastronomica. In questi secoli i ricettari nascono nelle corti signorili, dove lavorano cuochi professionali; essi tuttavia esprimono un sapere che è anche popolare, attingendo dalla cucina contadina pratiche diffuse nei vari territori, che l’alta cucina rifinisce, impreziosisce, arricchisce, senza mai perdere il sapore dei luoghi, anzi contribuendo a diffondere i sapori locali su scala nazionale. È con il medesimo atteggiamento che nei secoli successivi i cuochi di corte, o dell’alta borghesia, progressivamente arricchiscono il patrimonio culinario italiano: Antonio Latini nel XVII secolo, Francesco Leonardi nel XVIII ne sono i nomi più rappresentativi. Un secolo più tardi si arriva a Pellegrino Artusi, il cui libro di cucina (1891) contribuisce a rafforzare la condivisione su scala nazionale di prodotti e ricette locali, proponendole ora a un pubblico più largo, quello della piccola borghesia cittadina, senza perdere il legame con la tradizione popolare che rimane lo sfondo costante di questa storia. Artusi si concentra principalmente sulla cucina di casa, contadina e borghese, e costituisce uno snodo fondamentale nella progressiva costruzione del patrimonio gastronomico italiano. Secondo una ricerca condotta dal Censis nel 2019, su richiesta di Casa Artusi, il 67,5 % degli italiani che cucina ricorda le ricette che prepara a memoria, ma allo stesso tempo il 54% ha in casa un libro di cucina e il 63,9% consulta i blog di cucina per ritrovare le ricette tradizionali. La tragica pandemia da Covid-19 ha reso tale pratica, anche a causa del lockdown, ancora più diffusa e condivisa, essendo spesso divenuta l’unica occasione di sfogo in molte famiglie italiane.

Secondo quanto emerge da una ricerca di Mastercard realizzata nel 2021, il 64% degli italiani (verso il 58% degli europei) ha speso il periodo del lockdown dedicandosi alla pratica


del cucinare, dando sfogo alla creatività ed inventando nuove tecniche di preparazione e ricette (71% italiani vs il 64% degli europei). Gli italiani si sono dimostrati i più inclini a voler imparare cose nuove (57% vs 48% degli europei) e a improvvisarsi chef fai-da-te lasciandosi ispirare dalle nuove forme di intrattenimento digitale su schermo (programmi televisivi, servizi di streaming e social media dedicati alla pratica del cucinare che sono fonte di ispirazione per 1 italiano su 2).

La cucina casalinga italiana si è evoluta nel modo di intendere i piatti stessi e le abitudini culinarie degli italiani. L’attenzione di questi ultimi ai fornelli si è scoperta più consapevole sull’importanza di un’alimentazione sana: il 57,2% (contro una media europea del 52%) ha infatti sottolineato come la cucina durante la pandemia abbia rappresentato un’occasione per il conseguimento, attraverso piatti e ingredienti sostenibili, di uno stile di vita più sano proprio a partire dalla tavola. Il 59,5% degli italiani ha anche dichiarato di voler provare nuovi cibi, difficilmente utilizzati nel periodo pre-lockdown: la voglia di sperimentare nuovi ingredienti va dunque di pari passo con nuove e più attente abitudini alimentari.

Dalla ricerca emerge come le restrizioni legate alla pandemia abbiano cambiato modi e i luoghi in cui fare la spesa. 1 italiano su 3 ha acquistato generi alimentari attraverso piattaforme online per la prima volta nell'ultimo anno, scoprendo vantaggi e comodità. La familiarità con la spesa online accelerata dalla pandemia non si tradurrà necessariamente per tutti in abitudine post Covid-19. Secondo la ricerca infatti il 73% preferisce lo shopping in-store in fatto di cibo, e solo un 32% degli intervistati ha dichiarato che continuerà ad acquistare beni alimentari online quando la pandemia sarà finita. Questo essenzialmente perché la pratica della cucina, vera passione italiana, si sostanzia anche nella discussione con il venditore degli ingredienti: il negoziante diventa cosi co-partecipe della preparazione della ricetta, indicando talvolta le sue varianti e suggerendo al cliente come variare a sua volta, contribuendo così anche lui alla riuscita della pratica.

4.                  Misure di salvaguardia dell’elemento attivate dalla comunità promotrice

La pratica dell’elemento è da sempre diffusa nelle famiglie italiane. I divieti derivanti dal Covid-19 hanno incentivato una diversa forma di convivialità, spostando gli incontri in presenza in una sede virtuale: le famiglie riunite online hanno cucinato insieme, degustato e commentato, pur se a distanza, ma non hanno rinunciato a praticare l’elemento che, anzi, ne è uscito rafforzato.

Sinteticamente possiamo individuare alcune delle principali misure adottate dalle comunità in questi anni:

-  Dal 1953 ad oggi, l’Accademia della Cucina italiana ha documentato la pratica del cucinare in Italia, catalogando tecniche, modalità, ricette, ritualità legate al cucinare. Tale attività di documentazione è raccolta in 12 libri ed è consultabile, in parte, on line gratuitamente.

-   L’Accademia della Cucina italiana ha realizzato una “Storia della cucina italiana a fumetti” destinate a ragazzi dai 6 ai 12 anni in cui si racconta, lungo i secoli, come si è evoluta tale pratica e il significato che essa assume tutt’oggi

-    Dal 2007 Casa Artusi organizza incontri pubblici e realizza pubblicazioni a carattere divulgativo per conoscere, recuperare, riscoprire e conservare i saperi legati all’elemento e tramandarle alle nuove generazioni

-    Nel 2021 la Fondazione Casa Artusi ha promosso il “Manifesto della cucina in casa”, sottoscritto da 20 associazioni culturali diffuse in tutto il paese, per esortare l’opinione pubblica a conoscere e diffondere la pratica

-  a partire dal 2015, il Ministero della Cultura, attraverso il geoportale della cultura alimentare, ha identificato gli elementi caratterizzanti tale pratica. Tale processo è sempre in divenire

-   nel 2020 la Regione Campania ha finanziato un progetto di ricerca dell’Università Suor

Orsola Benincasa e l’Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza, per la realizzazione

di un museo virtuale della pratica con brevi documentari con protagoniste donne e uomini

campani cosi da tramandare ai giovani l’elemento

-  Nel 2019 il Ministro dell’Istruzione e il Ministro dell’Ambiente hanno siglato un protocollo di intesa per lo sviluppo dell’educazione ambientale nelle scuole superiori, nel cui ambito è ricompresa una sezione dedicata alla educazione alimentare e alla conoscenza dell’elemento quale esempio di sostenibilà

-  Nel 2015, il Ministero dell’Agricoltura, nell’ ambito di EXPO Milano 2015, ha organizzato, insieme all’Università Unitelma Sapienza, una serie di incontri pubblici per diffondere I valori culturali connessi all’elemento e illustrare il suo significativo culturale

-  Dal 2014 il Ministero degli Esteri organizza la “Settimana della cucina italiana nel mondo”. In questa settimane, associazioni, gruppi, cuochi e cuoche organizzano eventi presso le Ambasciate italiane nel mondo per far conoscere la pratica della cucina italiana, la sua storia e il suo significato.

-   La rivista “La Cucina italiana” ha avviato nel 2020 la realizzazione di un archivio digitale dei “quaderni di casa”, consultabili gratuitamente e online, contenenti le ricette tradizionali delle famiglie italiane, a partire dalla memoria delle nostre none e dal ruolo che hanno avuto anche nel creare le basi dell’alta ristorazione. Nell’ambito di tale Progetto, saranno realizzati anche brevi documentary per far conoscere le ricette delle grandi famiglie storiche italiane (Leopardi, Frescobaldi …) al fine di preservare la memoria e trasmetterle alle future conoscenze

Progetto “Integrare attraverso la cucina”. Realizzazione, da parte della Cattedra UNESCO sui Patrimonio Culturali Immateriali dell’Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza, di un portale web in cui uomini e donne, di ogni età, etnia, religione, orientamento, racconta, per iscritto o con brevi video, cosa significa l’elemento: l’obiettivo è creare un archivio digitale permanente che descriva, nel Corso degli anni, come cambia la pratica dell’elemento e come tale elemento sia un fattore di integrazione sociale, dando spazio soprattutto agli stranieri che vivono in Italia e che, pur non essendo italiani, sono divenuti parte di questa tradizione.

-   Progetto “Italians”: documentazione della pratica presso gli italiani che vivono all’estero anche per realizzare uno scambio con chi è rimasto in Italia. Progetto realizzato dale delegazioni dell’Accademia italiana della cucina.

-  “Progetto Gusto” realizzato dall’Istituto Enciclopedico Treccani la principale enciclopedia scientifica nazionale fondata nel 1925 e dalla Fondazione Qualivita: una serie di volume in cui sono raccolte le diverse modalità in cui si esprime la pratica Regione per Regione, ognuna con le sue peculiarità ma tutte con la stessa funzione culturale e lo stesso obiettivo.

-   La cucina dei centenari, da una idea della Fondazione Casa Artusi. La pratica della cucina italiana è un fattore di benessere collettivo e il popolo italiano è tra I più longevi al mondo. Ogni anno, per condividere la storia dei centenary e la lodo identitià rispetto al cibo, si organizzerà una cena con loro protagonisti. Ad ogni tavolo un centenario sarà circondato da studenti di scuole medie ai quali saranno trasmesse le conoscenze legate a tale pratica.

-    “La settimana della cucina italiana nel mondo”: proseguiranno, ogni anno, le iniziative organizzate dal Ministero degli Esteri per promuovere nel mondo la pratica di questo elemento e far sentire partecipe specialmente le comunità italiane che vivono all’estero. Gli eventi, che vedono protagonisti tutti, sono finalizzati anche a far conoscere la dimensione culturale di tale pratica e a coinvolgere popoli e culture diverse nel suo esercizio, così da potenziare quel gioco di scambi e di prestiti che caratterizza l’elemento.

-     Organizzazione del “Campionato della cucina italiana” – Si tratta di una gara non competitiva rivolta agli studenti degli Istituti alberghieri (ragazze/i di 15-19 anni che studiano come si cucina) nel cui ambito due sezioni sono dedicate alla cultura gastronomica e alla connessione tra identità cultura e patrimonio alimentare. Organizzato dalla Federazione italiana Cuochi.


5.  Materiale di documentazione

a.                  Materiale fotografico e/o audiovisivo di illustrazione dell’elemento

Si allegano 20 fotografie.

b.                 Bibliografia scientifica relativa all’elemento

·         M.Montanari, Il mito delle origini. Breve storia degli spaghetti al pomodoro (Larterza 2019)

·         M.Montanari, I racconti della tavola. (Laterza 2014)

·         M. Montanari, L'identità italiana in cucina (Laterza 2010)

·         M. Montanari, Il cibo come cultura (Laterza 2004)

·         Françoise Sabban, M. Montanari (a cura di), Atlante dell'alimentazione e della gastronomia: Risorse, scambi, consumi-Cucine, pasti, convivialità, (UTET 2004)

·         M. Montanari (a cura di), Il mondo in cucina. Storia, identità, scambi, (Laterza 2002)

·         M. Monatari, A. Capatti, La cucina italiana. Storia di una cultura (Laterza 1999)

·         M. Montanari, J.L. Flandrin (a cura di), Storia dell'alimentazione, (Laterza 1997)

·         E. Moro, La Dieta Mediterranea, Il Mulino 2017

·         M. Niola, Homo Dieteticus. Viaggio nelle tribù alimentari, Il Mulino 2015

·         M. Niola, Totem e Ragù. Divagazioni napoletane, Pironti 2003

 








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