lunedì 15 dicembre 2025

Quando il cibo diventa patrimonio: la Dieta Mediterranea e la Cucina Italiana all’UNESCO

    Erica  DeCaro

Un riconoscimento che parla al mondo


Tema di questi giorni è  la cucina italiana e la dieta mediterranea, patrimonio UNESCO e la differenza tra prodotti tipici e prodotti identitari.

Sul secondo aspetto vi invitiamo a leggere questo contributo del 2012, che per primi hanno codificato la differenza tra tipico e identitari (fino a prova contraria, naturalmente)



TIPICO e IDENTITARIO

 

  la Cucina Italiana entra ufficialmente nella lista dei patrimoni culturali immateriali dell’UNESCO. Non è solo un titolo, ma un segnale forte: il cibo italiano non è soltanto gusto, ma cultura, identità e sostenibilità. Un passo che si affianca al riconoscimento della Dieta Mediterranea, già patrimonio dal 2010, e che insieme raccontano una storia di tradizioni, salute e rispetto per la terra.

I Maestri

🇮🇹 Pellegrino Artusi: la cucina come identità nazionale

            Artusi (1820–1911) non era uno chef professionista, ma un gastronomo e scrittore.

            Con il suo libro La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene (1891) creò il primo linguaggio gastronomico italiano, raccogliendo ricette da tutta la penisola e dando forma a una cucina nazionale in un’Italia appena unita.

            I cuochi italiani per gran parte sono ispirati da Artusi hanno valorizzato la tradizione popolare, la stagionalità e la convivialità, ponendo le basi di una cucina identitaria e accessibile.

 Gualtiero Marchesi

🇮🇹 Gualtiero Marchesi: la cucina come arte e innovazione

            Marchesi (1930–2017) è considerato il padre della nuova cucina italiana.

            Ha trasformato la cucina in una forma d’arte, con piatti iconici e una filosofia che univa semplicità, estetica e innovazione.

            I suoi allievi (Cracco, Oldani, Berton, ecc.) hanno portato avanti un’eredità fatta di rigore e creatività, elevando la cucina italiana a livello internazionale.

            La sua influenza ha spinto i cuochi italiani verso una cucina gourmet e sperimentale, senza perdere il legame con la tradizione.

 ALESSANDRO CIRCIELLO


Diffidate da chi  vorrebbe promuovere la cucina italiana e la dieta mediterranea,   attraverso   i  seguaci dei chef  francesi o inglesi, che vanno bene per i loro paesi, non certo per l’Italia


🥗 La Dieta Mediterranea: il segreto di lunga vita

Pane, olio d’oliva, verdure fresche, legumi, pesce e un bicchiere di vino condiviso a tavola. La Dieta Mediterranea è molto più di un elenco di alimenti: è uno stile di vita. Promuove la convivialità, la stagionalità e la biodiversità agricola. Non a caso è considerata un modello universale di alimentazione sana, capace di prevenire malattie e di rafforzare il legame tra comunità e territorio.


🍕 La Cucina Italiana: tradizione e creatività

La candidatura italiana all’UNESCO è stata presentata con il titolo “La Cucina italiana fra sostenibilità e diversità bio-culturale”. Non si parla solo di piatti iconici come pasta e pizza, ma di un universo fatto di rituali familiari, tecniche tramandate, lotta allo spreco e valorizzazione delle risorse locali. La cucina italiana è un mosaico di culture regionali che, insieme, raccontano la storia di un Paese e la sua capacità di trasformare la biodiversità in valore sociale ed economico.


🌍 Sovranità alimentare: il diritto al cibo identitario

Dietro questi riconoscimenti c’è un concetto chiave: la sovranità alimentare. Significa che i popoli hanno il diritto di decidere come produrre e consumare il proprio cibo, difendendo tradizioni e biodiversità contro l’omologazione della globalizzazione. La Dieta Mediterranea lo fa con la stagionalità e i prodotti locali; la Cucina Italiana lo rafforza con la creatività e la memoria collettiva.


📌 Nella vita di tutti i giorni

  • Scuole: la Dieta Mediterranea ispira programmi di educazione alimentare, mentre la Cucina Italiana porta laboratori di gusto e cultura.
  • Mercati: la prima valorizza prodotti freschi e stagionali, la seconda trasforma i mercati in luoghi di identità e socialità.
  • Politiche agricole: la Dieta Mediterranea orienta la salute pubblica e la sostenibilità, la Cucina Italiana diventa strumento di promozione culturale e turistica.

⚖️ Opportunità e sfide

Il rischio è che questi riconoscimenti vengano ridotti a semplici etichette turistiche. Perché abbiano un impatto reale, serve coerenza nelle politiche agricole e culturali: difesa delle produzioni locali, riduzione dello spreco, promozione della stagionalità. Solo così la Dieta Mediterranea e la Cucina Italiana potranno continuare a essere strumenti di resilienza e sostenibilità.


Conclusione

La Dieta Mediterranea e la Cucina Italiana, oggi entrambe patrimonio UNESCO, non sono solo simboli di eccellenza gastronomica. Sono modelli di vita e di identità, capaci di unire salute, cultura e politica. Insieme, rafforzano l’idea che il cibo non è soltanto nutrizione, ma anche memoria, comunità e futuro.


Questa versione è più giornalistica e divulgativa, con titoli chiari e un tono narrativo che accompagna il lettore. Vuoi che lo trasformi anche in un editoriale d’opinione, con uno stile più polemico e provocatorio, come se fosse pubblicato su un quotidiano nazionale?

 

Da Artusi a Marchesi, alla nidiata dei tanti allievi ecco la Cucina Italiana

  enza petix

La Cucina Italiana  non nasce con il riconoscimento UNESCO  se pur importante, così  come  la  Dieta Mediterranea non è stata scoperta dall'UNESCO, una puntualizzazione necessaria sopratutto per i neofiti.

Nel mondo si racconta, che si beve vino francese, si guida un auto tedesca, ma si mangia rigorosamente italiano. La rinascita della cucina italiana in continuità con Pellegrino Artusi, grazie a Gualtiero Marchesi e alla nidiata di tanti allievi diventati maestri, antagonisti dei colleghi francesi.

Se Artusi e Marchesi  maestri di tanti bravi allievi della cucina italiana nel mondo, sono ancora oggi di esempio., lo dimostra che in tantissimi preferiscono frequentare ristoranti, con bravi cuochi di quella scuola 

 

La cucina italiana è alternativa e antagonista dei fans dei francesi di Escoffier famoso all'epoca perchè si adoperò molto, eliminò l’aglio, sostituì l’olio di oliva EVO con il burro, e già all'epoca contestato dai bravi cuochi nostrani, quasi a rimarcare la differenza tra la cucina francese e quella italiana- mediterranea, dove come è noto l'aglio e l'olio EVO sono componenti essenziali.
D'altronde non si può essere estimatore del giacimento enogastronomico del Bel Paese e contemporaneamente ispirarsi a  modelli antagonisti  come quello francese per esempio. Sarebbe come essere tifosi della Roma e del Lazio nello stesso tempo, sarebbe come essere "ne carne ne pesce" 

Gualtiero Marchesi:

 "la vera cucina è saper mangiare bene"

La vera differenza tra Artusi e Marchesi

Una grande differenza fra loro era il modo di porsi in cucina davanti al fornello e nella creatività e scoperta di una ricetta. Artusi ha voluto soprattutto raccontare la cucina degli italiani che avevano perso, dimenticato, abbandonato; mentre Marchesi ha contribuito a creare un modo di vivere la cucina e la tavola insieme.

Pellegrino Artusi, non volle mai codificare o uniformare o catalogare la cucina italiana… la sua formazione letteraria e linguistica e il fatto di “raccogliere” ricette segnalate non lo fa un cuoco, ma più uno “scalco” nuova maniera.

Con la fine del Settecento la cucina italiana-medioevale-rinascimentale finisce, finisce con la fine degli “scalchi” figure particolari fra la cucina e la tavola aristocratica che non solo erano bravi macellai e tagliatori di carni, grandi ortolani, esperti di condimenti, bravi pescivendoli o pasticceri… ma soprattutto sapevano raccontare a voce la ricetta ai commensali del principe.

La cucina francese, nata dopo che Caterina de’ Medici regina di Francia importò dalla Toscana tante ricette italiane oltre che l’uso della forchetta allora ignota ai francesi, perdurò per molto tempo, ma l’Artusi favorì un risveglio nazionalistico, fortemente antagonista e alternativa rispetto a quella  francese. Artusi propone una cucina italiana domestica ed emotiva contro una cucina   francese  spesso banale.

… l’Artusi fu il primo blogger gastronomico

E’ da quel momento che la cucina italiana si propone come arte del divenire, delle molteplici interpretazioni e della condivisione rispetto ad un sapere omologato non modificabile. Inoltre l’Artusi fu il primo blogger gastronomico: pochissime ricette del suo libro prevedono un suo intervento, quasi tutte arrivano dalle lettere scambiate con le cuoche di tante case italiane.

… la pasta come elemento base del menu italiano

La prima edizione del libro “artusiano” riporta 475 ricette, l’ultimo 790 nell’arco di 20 anni di continui aggiustamenti.  Ad Artusi non si devono ricette, ma la scelta di porre “ la pasta” come elemento base del menù italiano. E’ in quegli anni di fine XIX° secolo (1891-1905) che nascono tante ricette di pasta, come il piatto “discriminante” di una tavola, di una regione, di un menù. E’ la pasta che rende la tavola veramente artigianale e biodiversa: rileggendo per esempio le ricette degli spaghetti o delle paste ripiene si nota come la omogeneità della produzione della pasta  sia poi firmata territorialmente da alcuni ingredienti unici esclusivi di un territorio.

In Italia ci si dimenticò totalmente della “cucina artusiana” pensando addirittura per anni (secondo dopoguerra fino agli anni ’70) ad una soluzione industriale della tavola e della cucina, preconizzando “pillole” tutto fare. Fortunatamente per l’Italia  nacque la generazione (in cucina) di cuochi “marchesiani” che non lasciarono dimenticare la storia artusiana e non si lasciarono abbindolare dalla regolarità  matematica e schematica delle salse, sughi, temperature, abbinamenti lineari della cucina francese.

Ecco che l’incrocio di Pellegrino Artusi e di Gualtiero Marchesi hanno generato una squadra attenta di giovani cuochi italiani bravi, non chiamiamoli “chef” ,  quelli lasciamoli ai francesi

La cucina siciliana, tra storia, identità e tradizione.

 



Dominazioni millenarie di popoli provenienti da tutto il mondo, eventi storici, politici e religiosi epocali, la Sicilia di oggi è frutto di tutto questo e continua a modificarsi adattandosi ai tempi moderni, senza perdere tutte quelle specificità che la rendono un luogo affascinante. Ed è nella gastronomia che questo valore storico-culturale emerge forte e identitario, mostrando tracce di diverse culture e influenze, di popoli europei e mediterranei, tramandate di generazione in generazione, visibili anche sui monumenti costruiti sull’isola. Ecco come è andata.

 


Fenici, Greci e Romani

Si deve ai Fenici l’utilizzo della conservazione degli alimenti mediante salatura e affumicatura, ma anche una dieta a base di cereali, orzo e farro in primis. Furono invece i Greci ad appassionarci all’olio d’oliva, ad insegnarci ad innestare le viti da vino, creando tradizioni che diedero il via alla viticoltura arcaica che ha tracce fino ai nostri giorni. I Romani furono poi gli autori di una vera e propria rivoluzione gastronomica portando in Sicilia il grano duro detto ‘vestito’ che non perdeva lo stato di maturazione. I ricchi romani iniziarono ad ingaggiare cuochi siciliani che sembra furono gli ideatori della cottura all’interno del pane, creando così gli antenati delle “mpanate”. Sempre ai romani si deve l’introduzione di frutti e spezie fatti arrivare da lontano quali semi di papavero, cannella, chiodi di garofano, zenzero e pepe.



Influenza ebraica

Negli anni della dominazione romana arrivarono in Sicilia anche le comunità ebraiche che si stabilirono sull’isola fino alla fine del XV secolo, quando furono espulse dal regno di Ferdinando e Isabella. Dal loro pane azzimo preparato nel periodo di Pasqua, discendono la scaccia e la vota-vota, ripiene di verdure. Per Capodanno invece il piatto principale sulla tavola erano le triglie allo zafferano, ancora oggi preparate nelle cucine siciliane. E ancora, aglio soffritto nell’olio d’oliva come condimento per le verdure, cottura delle frattaglie. Ebbene sì, hanno origine ebraica, pani ca meusa, quarume, frittula, stigghiole, mussu, masciddaru e carcagnola.



Gli arabi in Sicilia

Ecco un altro spartiacque. La dominazione araba portò il ridimensionamento, la creazione del latifondo, delle piccole e medie aziende agricole dedicate ad arance amare, limoni, mandarini, cotone, riso, gelsi, canna da zucchero, mandorle, nocciole, pistacchi e uva. Nacque la prima rete di irrigazione delle campagne, venne introdotta la distillazione del vino e delle vinaccia e si iniziò a produrre l’alcol per usarlo come disinfettante. Ai distillati vennero aggiunti zucchero, spezie e frutta e nacque il rosolio.

Sul fronte della pasticceria fu un tripudio di forme, colori e profumi e vennero prodotti i primi cannoli e le prime cassate. Sono arabe la creazione del gelato (sherbet, sorbetto), l’arte di essiccare la pasta (spesso condita con le sarde), la preparazione del cous cous, l’uso della carta macinata come ripieno in formati e timballi. E nacque la tradizione dello “street food”. Ma gli arabi lasciarono segni anche sul fronte della pesca (portando tecniche più avanzate di pesca e di conservazione del tonno) e su quello della lingua, il dialetto siciliano ne è testimonianza in molte espressioni tipiche.

La corte dell’imperatore Federico II di Svevia e dei Normanni

Quando Ruggero d’Altavilla sconfisse gli arabi con il suo esercito era il 1063 e ai normanni servirono quasi 30 anni per conquistare tutta la Sicilia e imporre la propria dominazione. Arrivarono il ‘pescestocco’ (stoccafisso) e il ‘baccalaru’ (baccalà). Fu però Federico II, nel 1200, a segnare una rinascita della cucina siciliana. Venne ripresa la tradizione della carne ‘in umido’ della cucina greco-romana ma con l’utilizzo di carne fresca e di erbe aromatiche come basilico, salvia, prezzemolo, timo e menta. Una delle ricette preferite dall’imperatore era il “biancomangiare” (blanc manger), a base di latte e mandorla. Sulla tavola di Federico II arrivarono anche animali come cigni, gru e pavoni, oggi considerati invece soltanto ornamentali. Della cucina araba sopravvissero la gelatina di frutta, quello che oggi conosciamo come “salmoriglio” e la salsa “camellina”, condimenti delicati che arricchivano i banchetti. Curiosità? Del garofano si faceva largo uso nel riso e sembra proprio che in quegli anni venne inventato in Sicilia, e non in Lombardia, il Risotto alla Milanese.

Angioini e Aragonesi

Arrivarono gli Angioini, il centro del Regno di Sicilia fu spostato da Palermo a Napoli e con la rivolta dei Vespri Siciliani, l’isola divenne indipendente. Fu il momento della cucina aristocratica, sia baronale che vescovile. Vennero infatti costruiti castelli e conventi, all’interno dei quali venivano coltivate ricette segrete che riguardavano soprattutto la pasticceria. Nacquero i “Frutti di pasta Martorana’’ grazie alla nobildonna Eloisa Martorana che affidò questo compito a delle monache greche che dalle mandorle creavano il marzapane, per creare decorazioni. L’influenza spagnola fece arrivare in Sicilia prodotti come mais e cioccolato, fagioli, peperoni e peperoncini. E dalle Americhe, giunse il pomodoro. Fino alla metà del XVII secolo fu considerato solo una pianta ornamentale, per molti addirittura velenosa, divenne poi il principe della cucina siciliana come ingrediente principale del sugo. Sicilia e Tunisia, sono i due unici luoghi al mondo in cui alla parola “salsa” si pensa solo alla salsa di pomodoro.

L’aristocrazia, Monsù e la cucina povera

I Monsù, noti chef che andarono a servizio di nobili famiglie, fecero la loro comparsa in Sicilia alla fine del XVI secolo, arrivando dalla Francia. Portarono con loro la cucina barocca e aristocratica, che si affermò tra il XVIII e il XIX secolo. Lo stile della cucina divenne dunque più raffinato e alle tradizioni siciliane si aggiunsero ricette francesi e napoletane. Sulle tavole arrivarono le quiche. Nel frattempo però si arricchiva la cucina dei contadini feudali e dei pescatori delle marine. Le varie ricette tradizionali, tramandate oralmente, iniziarono a essere raccolte e messe per iscritto, e furano le monache e i monaci erboristi a farsene gelosi custodi. Si trattava di ricette che raccontavano storie come quella del “Cascacavaddu all’argintera” che voleva che un argentiere caduto in disgrazia lo cucinasse usando oli profumati e cercando di convincere il vicinato di essere intento a cucinare costose prelibatezze. Nacque il Falsomagro, inizialmente chiamato Rollò, parola di provenienza francese. Ed erano i camerieri e i servitori a rubare le ricette agli chef, reinventando i loro piatti, come è successo per la salsa agrodolce inizialmente creata per la conservazione di pesce e carne, poi usata per melanzane e carciofi della Caponata.

 


Storia recente

Furono le famiglie storiche e nobiliari a determinare un ulteriore sviluppo della cucina siciliana. Tra queste spicca quella dei Florio, che fu a capo di una rinascita culturale e gastronomica siciliana, valorizzando al contempo il pesce siciliano, a partire dal tonno, lavorando e conservando gli alimenti. A loro si aggiunge la prolifica famiglia Alliata, Principi di Gangi, Gravia e Valguarnera e ancora Duchi di Salaparuta. A loro si devono la tradizione dell’uso della neve per la produzione del gelato e la conservazione dei cibi deperibili, la creazione di antiche cantine, l’avvio del veganismo crudista e della cucina vegetariana. Il duca Enrico di Salaparuta era promotore di una dieta basata solo sui frutti della terra e nel suo libro raccontava di un’alimentazione basata principalmente su alimenti come cereali, verdure e legumi da affiancare ad una bevanda considerata “pura e nobile”, quale era il vino. Nel frattempo le famiglie più povere ispiravano la loro cucina all’aristocrazia e se sui fuochi dei nobili la pasta con le sarde veniva servita con la cernia (pesce più raffinato) nelle cucine più umili l’antica ricetta non poteva permettersi nemmeno le sarde fresche, ma al massimo le poverissime acciughe salate, pasta che veniva definita non più “con le sarde”, ma con “le sarde a mare”, quindi rimaste proprio in acqua

 


domenica 14 dicembre 2025

HimeraMovie APS



Cinema e cucina si incontrano per il “Natale dei Cuochi” con la proiezione del film ‘À Milanisa’, scritto e diretto dallo chef-regista Vincenzo La Cognata.

Dopo il grande successo  al Frutech di Misterbianco, il film ‘À Milanisa’ torna in proiezione per una serata speciale, dedicata all’identità siciliana e alla convivialità.  

L’appuntamento è per sabato 16 dicembre alle ore 20:30 presso il ristorante Capriccio di Mare (Villaggio Mosè, Agrigento), in occasione del tradizionale Natale dei Cuochi.  



Il cortometraggio racconta la storia di un giovane cuoco in cerca di fortuna, affrontando i temi dell’emigrazione e del riscatto sociale attraverso la cucina e la poesia. L’opera rende omaggio al Premio Nobel Salvatore Quasimodo, “poeta universale”, e vede tra il cast anche attori con disabilità.  

Il film è stato premiato al Festival Internazionale di Cinenepoesia “Versi di Luce” e il regista Vincenzo La Cognata ha ricevuto il riconoscimento di Custode dell’Identità Territoriale del Percorso dei Borghi Genius Loci DE.CO, oltre al Premio Inclusione Sociale Radici e Orizzonti ENAC 2025. 

Numerosi i patrocini, tra cui quello del Comune di Licata, del Parco Letterario Salvatore Quasimodo, della Strada degli Scrittori, della Federazione Italiana Cuochi (FIC), dell’Unione Regionale Cuochi Siciliani e dell’Associazione Provinciale Cuochi e Pasticceri Agrigento “Salvatore Schifano”e di altri enti culturali 

L’evento, prevede la proiezione del film À Milanisa, interpretato da Angelo Montana, Salvatore Mulè, Antonino Dinolfo e Marisol Montana.  

Durante la cena, gli ospiti potranno degustare la pasta  Milanisa, piatto simbolo del film e metafora di riscatto, memoria e contaminazione culturale.

La produzione cinematografica insieme alle iniziative d’arte per il sociale sono promosse dall’Ass. Himera Movie APS.


Annamaria Milano

Comunicazione Himera Movie APS

sabato 13 dicembre 2025

"Sorsi e Morsi: Tradizione e Innovazione"

                                                           Michela Ficarra   

 

  L'analisi post-evento della Kermesse Enogastronomica "Sorsi e Morsi: Tradizione e Innovazione" è univoca: il futuro del comparto si consolida sulla profonda cognizione e sulla narrativa del prodotto. L' innovazione è  il risultato di una chiara strategia.

 Dalle Filiere agroalimentari alla Strategia

Un punto cruciale è stata la disamina sulla gestione e l'importanza delle filiere.


L' Avv. Gaetano Majolino ha illuminato il concetto di filiera agroalimentare come strumento essenziale per la valorizzazione del territorio e per il Turismo Esperienziale, affiancato dal focus del Prof. Leopoldo Moleti sull'Enoturismo.

 Scienza, Ricerca e Istruzione: Le Basi della Qualità

• Valore Aggiunto Scientifico: Il Prof. Giacomo Dugo ha tracciato il percorso sull'olio d'oliva come pilastro, illustrando come l'Economia Circolare e i Novel Food siano generatori di prodotti salutistici d'avanguardia per il mercato

• Ponte Scuola-Lavoro: L'impegno per il futuro si è concretizzato con l'intervento della Dirigente dell'Antonello  la Prof.ssa Daniela Pistorino, che ha ribadito l'importanza degli Istituti Alberghieri e della coesione con gli ITS per i professionisti di domani

 Quando la Tecnica Custodisce la Cognizione

L'evento, presieduto dalla Prof.ssa Antonina Sidoti, ha celebrato la maestria che si fa strategia di mercato:

• Chef Arena (Panificazione 3G): Ha messo in luce l'essenza dell'identità: confronto, conoscenza e tendenze, fondamentali per coinvolgere le nuove leve (20-35 anni)

• Chef Caliri: Erede della filosofia di Gualtiero Marchesi, ha trasformato l'identità in una "bussola" dinamica. Ha affascinato con i suoi "cannolicchi", dove la cialda di torroncino al pistacchio eleva la pasticceria a manifesto di un'innovazione che genera economia diffusa

• Chef Freni: La sua "Pignolata del Miracolo Tecnico" è il paradigma di come l'innovazione debba custodire la cognizione

Questa capacità di trasformare l'iconico in attrattiva turistica è stata la visione chiave della Gastrosofa Anna Martano per il futuro esperienziale di Messina.

 

Un ringraziamento speciale per l'impegno organizzativo va alla Città Metropolitana di Messina e in particolare a Nuccia Di Gennaro,  Responsabile ufficio eventi culturali, il cui contributo è stato fondamentale per la realizzazione del convegno.

Un evento ricco di stimoli che rafforza la nostra convinzione: il futuro del gusto messinese è nel connubio tra storia, filiera e scienza.

venerdì 12 dicembre 2025

Il riconoscimento UNESCO tra identità, cultura e neoruralità

 


Il ruolo dei Borghi GeniusLoci De.Co. nel percorso UNESCO della cucina italiana come patrimonio culturale immateriale

1. Introduzione

La recente iscrizione della cucina italiana nella Lista Rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità dell’UNESCO ha aperto un nuovo capitolo nella riflessione sul ruolo delle comunità locali e dei territori nella costruzione dell’identità alimentare nazionale. Tale riconoscimento non riguarda singole ricette o prodotti, né mira a cristallizzare una tradizione in forme rigide e musealizzate. Al contrario, esso si fonda sull’idea che la cucina italiana sia anzitutto un patrimonio vivo, generato dall’interazione storica fra comunità, saperi, territori e pratiche sociali.
In questo quadro, i Borghi GeniusLoci De.Co. assumono una funzione strategica: essi rappresentano, simultaneamente, spazi di custodia e riproduzione dei saperi tradizionali, luoghi di continuità storica e laboratori di innovazione culturale e territoriale.



2. La cucina italiana nella prospettiva UNESCO

Il riconoscimento della cucina italiana da parte dell’UNESCO si basa su un approccio olistico, secondo il quale la cultura del cibo non coincide con un repertorio gastronomico, ma con un sistema articolato di valori, gesti, rituali, pratiche sociali e relazioni intergenerazionali. La cucina diviene così un fatto comunitario, un dispositivo di coesione sociale e un linguaggio identitario che attraversa l’intero Paese nelle sue molteplici declinazioni regionali e locali.

L’UNESCO ha evidenziato cinque assi principali:

  1. Condivisione e convivialità, come forme di costruzione della vita sociale.

  2. Ritualità e trasmissione intergenerazionale, nei quali le famiglie e le comunità svolgono un ruolo centrale.

  3. Sostenibilità e rispetto della biodiversità agricola e gastronomica.

  4. Valorizzazione del rapporto tra uomo e paesaggio rurale.

  5. Riconoscimento della cucina come espressione di identità culturale.

Questi assi rimandano direttamente alla vita dei borghi italiani, dove la cultura materiale e immateriale del cibo è ancora parte integrante delle pratiche quotidiane.



3. I Borghi GeniusLoci De.Co.: identità territoriale e patrimonio vivente

La Rete Nazionale dei Borghi GeniusLoci De.Co. si colloca come uno dei contesti più significativi per comprendere la relazione fra cibo, territorio e comunità. Il concetto di Genius Loci richiama l’“anima dei luoghi”, ovvero quell’insieme di elementi materiali e simbolici che definiscono l’identità culturale di un territorio: paesaggi, saperi, linguaggi, artigianato, usanze e, naturalmente, tradizioni alimentari.

La De.Co. – Denominazione Comunale – rappresenta lo strumento amministrativo con cui un Comune riconosce formalmente un prodotto, una ricetta, una tradizione o un sapere come espressione tipica della propria identità. È un atto pubblico che certifica la volontà della comunità di salvaguardare il proprio patrimonio immateriale.
Nei borghi aderenti alla Rete, la De.Co. si integra con una visione più ampia di sviluppo locale fondata su sostenibilità, neoruralità, comunità attive e promozione culturale.

I borghi De.Co. sono quindi microcosmi identitari, luoghi dove la cultura del cibo mantiene ancora una dimensione comunitaria, ciclica e rituale: sagre di lunga tradizione, pratiche agricole condivise, metodi tradizionali di trasformazione alimentare, feste stagionali, sistemi di scambio non mercificati.



4. Continuità storica e trasmissione dei saperi

Uno dei criteri fondamentali per il riconoscimento UNESCO è la continuità storica del patrimonio immateriale. Nei borghi De.Co., tale continuità si manifesta nella sopravvivenza di:

  • gesti tecnici tramandati oralmente (impasti, conserve, cotture tradizionali);

  • ritualità agricole legate alle stagioni (vendemmie collettive, trebbiature, raccolti cerimoniali);

  • spazi simbolici della comunità (forni comuni, frantoi storici, corti rurali);

  • ricette intergenerazionali custodite all’interno di famiglie e confraternite.

La persistenza di queste pratiche, spesso marginalizzata nei contesti urbani, permette ai borghi di agire come depositari della memoria alimentare italiana.
Lì, la cucina non è spettacolarizzazione, ma pratica quotidiana, radicata nella familiarità dei gesti e nella relazione diretta con la terra.



5. Patrimonio alimentare e biodiversità: un ponte con la Dieta Mediterranea

La Dieta Mediterranea, a sua volta patrimonio UNESCO, costituisce uno dei riferimenti concettuali più importanti per comprendere la relazione tra paesaggio, cibo e cultura. I borghi De.Co., siti prevalentemente in aree rurali, interne e marginali, contribuiscono alla salvaguardia della biodiversità attraverso:

  • coltivazioni tradizionali non intensive,

  • uso di sementi autoctone,

  • tutela di razze animali locali,

  • tecniche agroecologiche legate alla sostenibilità ambientale,

  • mantenimento di paesaggi agrari storici.

Questa dimensione si integra perfettamente con l’approccio UNESCO, che riconosce nel patrimonio alimentare una forma di ecologia culturale, dove le pratiche culinarie sono inseparabili dal contesto ambientale e dal ciclo naturale.



6. Partecipazione comunitaria e salvaguardia dal basso

L’UNESCO richiede che ogni elemento candidato sia vivo, partecipato, condiviso dalle comunità. I borghi De.Co. rappresentano un modello esemplare di salvaguardia partecipativa:

  • le comunità locali contribuiscono alla definizione dei patrimoni da tutelare;

  • gli atti De.Co. sono espressione di una volontà collettiva;

  • i cittadini diventano custodi attivi del proprio patrimonio culturale;

  • le associazioni locali svolgono funzioni educative e di trasmissione.

Questo modello “dal basso” (bottom-up) è perfettamente coerente con l’impianto della Convenzione UNESCO del 2003 sul patrimonio immateriale.



7. Narrazione identitaria e dimensione culturale del cibo

La candidatura UNESCO si fonda su una narrazione nazionale capace di valorizzare la diversità territoriale come elemento costitutivo dell’italianità.
I borghi De.Co. contribuiscono a questa narrazione attraverso:

  • storie di comunità,

  • rituali locali,

  • ricette simboliche,

  • feste e processioni legate alla ciclicità del cibo,

  • rappresentazioni del lavoro agricolo,

  • forme di ospitalità rurale autentica.

La rete dei borghi fornisce quindi un repertorio narrativo e antropologico indispensabile per dimostrare all’UNESCO che la cucina italiana è un patrimonio diffuso, partecipato e quotidiano, non circoscritto alle città o alle cucine professionali.



8. La Rete Nazionale come infrastruttura culturale e istituzionale

La Rete Nazionale dei Borghi GeniusLoci De.Co. può assumere un ruolo strategico nel “dopo-riconoscimento”, come:

  • osservatorio delle pratiche alimentari locali,

  • laboratorio di ricerca antropologica e storica,

  • archivio digitale dei saperi,

  • strumento di promozione culturale e turistica sostenibile,

  • spazio di educazione alimentare e sensibilizzazione delle nuove generazioni.

La rete può inoltre collaborare con scuole, università, enti di ricerca, istituzioni regionali e nazionali, contribuendo alla costruzione di una governance culturale coerente con i principi UNESCO.


9. Conclusioni

La cucina italiana, riconosciuta dall’UNESCO come patrimonio culturale immateriale, è un sistema complesso che intreccia valori sociali, relazioni comunitarie, saperi tradizionali e sostenibilità.
All’interno di questo sistema, i Borghi GeniusLoci De.Co. assumono una funzione decisiva: essi rappresentano la dimensione più autentica, viva e territoriale del patrimonio alimentare italiano.
La loro capacità di custodire saperi, preservare la biodiversità, valorizzare le tradizioni e coinvolgere attivamente le comunità li rende attori imprescindibili del paesaggio culturale italiano contemporaneo.
In questo senso, i borghi De.Co. non sono semplici luoghi geografici, ma spazi culturali, nodi identitari e custodi viventi del patrimonio immateriale che l’UNESCO intende salvaguardare.
La loro valorizzazione non solo sostiene il riconoscimento già ottenuto dalla cucina italiana, ma contribuisce a renderlo efficace, partecipato e duraturo, trasformando il patrimonio in una risorsa condivisa per le generazioni future.


 

giovedì 11 dicembre 2025

Il Born in Sicily a Roma

 IL DAMIANI di MARSALA HA RAPPRESENTATO LA SICILIA AL MASAF IN OCCASIONE DELLA VIDEOCONFERENZA DA NUOVA DELHI  


Oggi 10 dicembre 2025, presso la sala "Cavour" del Ministero dell'Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, si è svolta in videoconferenza da Nuova Delhi, la proclamazione della CUCINA ITALIANA come prima cucina al mondo riconosciuta patrimonio immateriale dell'UNESCO. L'I.I.S. "A. Damiani" di Marsala, unica scuola siciliana, ha partecipato a questo evento storico rappresentata dal Dirigente Scolastico Dott. Domenico Pocorobba e dal Prof. Paolo Austero.

 



Un risultato straordinario, frutto del costante impegno volto alla valorizzazione del patrimonio agroalimentare italiano e delle eccellenze degli Istituti Agrari e Alberghieri.

  












Il Prof. Paolo Austero recentemente è stato insignito del  riconoscimento di "Custode dell'Identità Territoriale" del percorso dei Borghi DeCo.  Un modo per onorare chi si impegna attivamente nella tutela e promozione dell'identità unica di un luogo, sia attraverso la conservazione del patrimonio materiale che immateriale, come la cultura, le tradizioni e l'enogastronomia 

 





   Una miscela culturale e sociale di tradizioni culinarie, un mosaico di tante diversità da cui nasce e si sprigiona la forza del made in Italy a tavola: la cucina italiana entra ufficialmente nella lista dei patrimoni culturali immateriali dell'umanità. A deliberarlo, all'unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell'Unesco, riunito a New Delhi, in India. È la prima cucina al mondo ad essere riconosciuta nella sua interezza. In Italia i festeggiamenti hanno attraversato tutta la giornata culminando con l'accensione al Colosseo. Un "formidabile ambasciatore" la cucina italiana, che "accompagna il turismo, arricchisce l'offerta culturale italiana e annuncia in tutto il mondo il desiderio di essere presente nei tanti luoghi e tra le persone che rendono l'Italia una comunità".



 

martedì 9 dicembre 2025

Patrimonio Unesco: cresce l’attesa in vista della decisione finale

 

La Cucina Italiana candidata a Patrimonio Unesco: cresce l’attesa in vista della decisione finale

Nel   2023 il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste e il Ministero della Cultura hanno lanciato la candidatura della Cucina Italiana a Patrimonio Immateriale dell’Umanità UNESCO. Una candidatura che non riguarda una singola ricetta o uno specifico piatto, ma proprio quel momento di condivisione diventato un vero e proprio modello culturale, fatto di esperienze comunitarie, scelta consapevole delle materie prime, trasmissione di tecniche e saperi di generazione in generazione, rispetto delle stagioni e dei territori e, soprattutto, di convivialità.

Come precisa il dossier presentato, non esiste un’unica cucina italiana, poiché questa è in realtà un mosaico di diversità espressive locali che fa sì che in ogni territorio si esprima una pratica sociale che ha anche una valenza sentimentale. Preparare una pietanza, infatti, non è solo cucinare ma è anche espressione di un sentimento e di un racconto, è un prendersi cura di chi consumerà quel pasto. D’altronde, come si suol dire, “si cucina sempre pensando a qualcuno, altrimenti stai solo preparando da mangiare”.

La cucina italiana è una storia collettiva, scritta ogni giorno nelle case, nelle comunità e nei territori e, essendo in corsa come fenomeno tout court, qualora dovesse ricevere un semaforo verde nei prossimi giorni diventerebbe la prima cucina al mondo ad ottenere, nel suo complesso, il riconoscimento a Patrimonio Immateriale dell’Unesco.

A differenza di altri riconoscimenti gastronomici Unesco, tale candidatura celebra un’intera tradizione culinaria fatta anche e soprattutto di quotidianità. La cucina italiana è infatti la “cucina degli affetti”, in grado di trasmettere memoria, cura, relazioni e identità, raccontare storie di famiglie e di un’intera comunità proprio attraverso il cibo.

Riconosciuta anche a livello internazionale, come identificato anche dal Deloitte Foodservice Market Monitor 2025, nel 2024 la cucina italiana ha raggiunto un valore complessivo di 251 miliardi di euro, con una crescita del 4,5% su base annua, rappresentando il 19% del mercato globale dei ristoranti con servizio, con particolare rilevanza negli Stati Uniti e in Cina. Inoltre, nel nostro Paese la filiera agroalimentare – fatta di produzione, industria alimentare, distribuzione, servizi food – pesa circa il 15% del PIL nazionale.

Con il logo ufficiale della candidatura, che rappresenta la mano di un cuoco “spadella” insieme a simboli del territorio e personaggi della cultura, e l’inno ufficiale intitolato “Vai Italia” scritto da Mogol, non ci resta quindi che attendere la votazione del 10 dicembre per scoprire se questo fenomeno a noi così caro riuscirà a conquistare il riconoscimento che merita.