L’identità é valore incommensurabile, il prodotto può essere copiato, l’identità di un territorio no
C’è un confine invisibile che separa ciò che è semplicemente buono da ciò che diventa identitario. Non basta un prodotto ben fatto, eseguito da mani esperte, per diventare simbolo di un territorio. Il valore autentico di un prodotto identitario – ed è il caso delle De.Co. – risiede nella storia che lo accompagna, nella leggenda che lo custodisce, nella memoria collettiva che lo ha reso parte viva di una comunità. Diversamente, resterebbe un buon prodotto commerciale, ma privo di anima, senza radici, senza Genius Loci.
Un prodotto identitario nasce solo quando la sua essenza è nutrita da ingredienti autoctoni, scelti e rispettati secondo la tradizione. È così che ogni sapore si intreccia con la terra da cui proviene: il grano di una vallata, l’olio di un uliveto secolare, l’uva di un vigneto affacciato sul mare. Se invece quel prodotto viene realizzato con materie prime provenienti dalla globalizzazione, anche se perfetto nella sua esecuzione, non potrà mai appartenere a un luogo: sarà buono a Trapani come a Trieste, ma non parlerà la lingua dell’identità.
Le produzioni locali hanno un compito speciale: diventano custodi della memoria, fili sottili che legano passato, presente e futuro. Esse rappresentano il sapere antico tramandato di generazione in generazione, un’eredità viva che si rinnova a ogni gesto, a ogni ricetta, a ogni festa di paese.
Il Genius Loci – quello spirito invisibile che abita ogni luogo – non è facile da riconoscere. Bisogna saper ascoltare, osservare, riconoscere. È l’anima di una comunità, il respiro delle sue architetture, delle sue tradizioni, delle sue storie. È ciò che rende unico un borgo, al punto da catturare lo sguardo del viaggiatore e farlo innamorare della sua atmosfera irripetibile.
L’identità é valore incommensurabile, il prodotto può essere copiato, l’identità di un territorio no, per fare questo le De.Co sono uno strumento unico.
I Custodi dell’identità territoriale e gli ambasciatori dell’identità territoriale sono destinati ad assolvere a un ruolo fondamentale, comunicare e far conoscere il territorio, il quale assume un importanza crescente anche nei confronti del visitatore, e del viaggiante, che ritrova nel prodotto, un insieme di valori, ivi compresi quelli identitari.
I baci panteschi: un dolce che racconta Pantelleria
Tra i muretti a secco e le onde che si infrangono sulle rocce nere, sull’isola di Pantelleria nasce un dolce che sa di vento, di festa e di memoria: i baci panteschi. Un nome romantico, una forma elegante, un sapore che racconta storie e identità.
Pantelleria non è soltanto un lembo di terra sospeso tra la Sicilia e l’Africa: è un laboratorio culturale a cielo aperto, un luogo dove la natura impervia e la mano dell’uomo hanno creato un paesaggio unico, oggi riconosciuto anche dall’Unesco per la pratica agricola della vite ad alberello, simbolo di resilienza e ingegno. Su quest’isola il cibo non è mai soltanto nutrimento, ma rito, appartenenza, e resistenza culturale.
I baci panteschi nascono proprio in questo crocevia di civiltà, dove il Mediterraneo è stato da sempre ponte di scambi. Semplici eppure scenografici, uniscono la sapienza delle nonne al desiderio di celebrare la bellezza del quotidiano. Un tempo erano riservati alle grandi occasioni matrimoni, battesimi, feste patronali – oggi sono diventati il dolce identitario per eccellenza dell’isola.
Le origini: tra leggende e contaminazioni
Le origini dei baci panteschi sono avvolte nel mistero, proprio come molte preparazioni popolari tramandate oralmente. Non esistono fonti certe che ne attestino la nascita, ma due ipotesi principali animano la memoria collettiva.
Da una parte, l’idea che si tratti di una rielaborazione di dolci nordafricani, come le zlebia o altri fritti decorativi leggeri e mielati. Pantelleria, protesa verso la Tunisia, ha assorbito nel tempo influssi arabi e berberi che hanno lasciato tracce indelebili nel linguaggio, nell’architettura, nelle colture e nelle tavole. Lo stesso ferro a forma di fiore usato per creare le cialde ricorda strumenti simili diffusi in Nord Africa e Medio Oriente.
Dall’altra, una teoria più autoctona sostiene che i baci siano frutto dell’inventiva isolana, nati nelle famiglie contadine o forse nei monasteri, come variazione pantesca delle ferratelle abruzzesi o come cugini dei cannoli siciliani. Un dolce che, pur riecheggiando influenze esterne, si radica nei prodotti del territorio: la ricotta di pecora, lo zucchero, la scorza d’agrumi.
Il nome stesso, “bacio”, sembra evocare la fusione di due metà croccanti unite da un cuore morbido: un’immagine di amore, di unione, di comunità.
La magia del ferro e la ricetta
Preparare un bacio pantesco non significa solo seguire una ricetta, ma compiere un rito. Servono farina, uova, latte, olio e soprattutto il ferro a fiore, che scaldato nell’olio bollente e immerso nella pastella crea la tipica cialda dorata e sottile. Una volta pronta, viene accoppiata con un’altra e farcita di ricotta dolce aromatizzata con scorza di limone o arancia, talvolta arricchita con gocce di cioccolato. Una spolverata di zucchero a velo completa l’opera: due metà che combaciano perfettamente, proprio come un bacio.
Ogni famiglia custodisce la propria variante: chi aggiunge cannella, chi sostituisce il latte con vino bianco o latte di mandorla, chi osa persino una versione salata. Questa pluralità di varianti è la prova che i baci panteschi non sono solo un dolce, ma un linguaggio identitario che ogni casa interpreta secondo il proprio vissuto.
Simbolo di un patrimonio
I baci panteschi resistono al tempo. Oggi si trovano nelle pasticcerie e nei ristoranti, ma il loro sapore autentico resta quello delle cucine domestiche, delle mani infarinate, delle ricette raccontate più che scritte.
In questo senso, si inseriscono pienamente nella filosofia dei Borghi Genius Loci De.Co., come parte integrante di un patrimonio immateriale fatto di memoria, paesaggio e comunità.
I baci panteschi diventano così un simbolo di identità territoriale: un dolce che, come i capperi o lo zibibbo dell’isola, non è soltanto eccellenza gastronomica, ma racconto vivente di un popolo. In questa prospettiva, chi custodisce la ricetta, chi la tramanda e chi la reinventa oggi si fa Custode dell’identità territoriale, testimone di un’eredità che unisce generazioni e che dialoga con il mondo senza smarrire le radici.
Un gesto d’amore mediterraneo
Assaporare un bacio pantesco significa compiere un viaggio: tra i dammusi bianchi che punteggiano il paesaggio lavico, i vigneti terrazzati di zibibbo, e la luce intensa del tramonto sul mare. È croccante come le rocce vulcaniche, morbido come la brezza che porta profumi di mare e di origano.
Più che un dolce, è un gesto d’amore. Un amore che nasce in una piccola isola ma che parla al Mediterraneo intero: di scambi, di contaminazioni, di resistenza culturale. Un amore che, come il nome stesso suggerisce, si dona con un bacio.
Ecco allora che nasce il percorso dei Borghi Genius Loci De.Co.: non un obbligo, né una formalità, ma una scelta consapevole di chi ama il proprio territorio e decide di custodirlo. È un atto culturale e insieme politico: attraverso la Denominazione Comunale (De.Co.), il Sindaco riconosce e valorizza un prodotto, un piatto, un sapere, un evento che definisce l’identità di quella comunità. È un gesto che guarda al passato con gratitudine, al presente con orgoglio, al futuro con speranza.
Luigi Veronelli, che per primo intuì la forza di questo strumento, diceva: “Attraverso la De.Co. il prodotto del territorio acquista una sua identità.” Non si tratta solo di marketing territoriale, ma di un atto d’amore verso le proprie radici. Una De.Co. non è mai soltanto cibo: è racconto, esperienza, attrazione culturale e turistica. È un invito rivolto a quei viaggiatori curiosi – i cosiddetti foodies – che cercano emozioni autentiche attraverso il gusto e la tradizione.
Perché il percorso sia autentico, servono regole chiare: storicità, unicità, interesse collettivo e, soprattutto, burocrazia zero. La vera forza non sta nei disciplinari complessi o nei regolamenti tecnocratici, ma nella capacità di difendere la propria unicità. Ogni borgo ha il suo mito, la sua favola, la sua eccezionalità: ed è lì che il Genius Loci si manifesta.
Oggi, in un mondo globalizzato dove le merci corrono ovunque e i campi abbandonati cedono il passo a produzioni lontane, difendere i prodotti identitari diventa un atto di resistenza culturale. Non è solo agricoltura, è memoria; non è solo commercio, è bellezza.
E forse aveva ragione Renzo Piano quando ricordava: “La bellezza è il nostro più grande asset.” L’Italia, culla di civiltà, porta sulle spalle il dovere di riconoscere e custodire la sua eredità, perché il nostro paesaggio, i nostri borghi, i nostri sapori non sono semplici beni da consumare, ma un consommé di cultura che ci lega indissolubilmente al Mediterraneo e alla nostra storia.
Ed è qui che entrano in scena i Custodi dell’identità territoriale, coloro che difendono con passione e dedizione le tradizioni, i prodotti e i saperi locali, affinché non si disperdano nel mare della globalizzazione. Accanto a loro, gli Ambasciatori dell’identità territoriale portano questo patrimonio oltre i confini del borgo, facendone dono al mondo. Insieme, Custodi e Ambasciatori sono le voci di un coro che racconta l’Italia più autentica: quella dei borghi, delle storie, dei sapori che resistono al tempo e che continuano a emozionare chi sa ascoltare.
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